Illusioni cadute. Ci sono tempi in cui cambiare cavallo

“Ci sarà sempre un cavallo nella mia casa”, disse un giorno, di molti anni fa, mio padre Walter, classe 1928.

Lui era cresciuto con le automobili. Aveva cominciato a fare il meccanico a 13 anni, quando di fronte alla scelta tra la scuola e un mestiere, scelse il mestiere di meccanico d’auto.

Mia nonna Maria, sua mamma, lo voleva ragioniere. Walter preferì i pistoni, i cilindri e la frizione.

Papà Walter ha passato una vita sulle automobili, a studiarle, a capirle, ad aggiustarle. Ma il suo cuore era con i cavalli.

Non avendo abbastanza spazio per un cavallo, nella nostra casa in Valpolicella, costruita a fine Anni Sessanta, mio padre scelse un altro tipo di cavallo, che peraltro adorava: il pony.

Abbiamo avuto una mezza dozzina di pony, l’ultimo – un Falabella – andai io a prenderlo, con un furgone, a Forlì. Erano gli Anni Ottanta. E quel pony grigio scuro era alto come un cane Rottweiler.

Quando il cambio di cavallo ci aiuta a vivere

Penso sempre ai cavalli. Penso sempre a mio padre. Penso sempre ai pony che abbiamo avuto – con tanto di calesse e di sulky a due ruote che sapevo condurre – quando cadono le illusioni.

Le illusioni si fermano al 53° secondo. Poi, al 54° secondo, è la volta della delusione, perché assai di rado le illusioni si realizzano.

Cadute le illusioni, possiamo decidere di abbandonare la partita. Possiamo uscire dal campo, a testa alta, con un mezzo sorriso di vittoria: ci sono partite che non merita di giocare; ed è da persone di valore ammettere di aver sottovalutato il proprio potere.

La rabbia, al 54° secondo, può essere una soluzione, ma non dura. L’allegria di naufragi ci consola soltanto per poco.

La fuga, il vittimismo, una nuova illusione, l’autocritica, l’allucinazione e la ritrutturazione dei nostri pensieri: le abbiamo provate tutte le soluzioni, per sgaiattolare via dal dolore del secondo numero 54.

Tutto è stato, tuttavia, inutile.

C’è, allora, un’idea che ci balena nella mente. Piano piano ci affascina, ci conquista, ci convince: e se cambiassimo cavallo?

La donna (oppure l’uomo) che abbiamo amato ci ha ferito: non si è lasciata comprendere, non ci ha voluto capire. Buonanotte comunicazione. Tutto è crollato.

La comunicazione autentica si è schiantata contro lo sterile gioco di potere, abitudine a cui alcune donne (e alcuni uomini) si aggrappano, anziché scegliere la via piana del raccontarsi.

Un nuovo cavallo è un odore diverso di sudore, nella corsa sulla groppa.

È un diverso sguardo sulla realtà, con quegli occhi giganti.

È un’altra dimensione, un altro fascino, un altro sentire: perché un nuovo cavallo ha la freschezza, l’ingenuità e il volo di speranza delle novelle avventure.

La comprensione, la fatica e la stazione di posta

Un cavallo – l’ho provato con i pony che ho amato e condotto al calesse – ti produce un certo brivido: ti dà la sensazione inconsueta di essere compreso, di essere consolato e di abitare la vita in compagnia.

Il cavallo è silenzioso e sta sempre in piedi. Quando ti guarda trasmette empatia. Sa obbedire ed esegue gli ordini, se mostri dolcezza, comprensione e chiarezza di pensiero.

Non si deve mai essere incerti con un cavallo. Se lo accarezzi sulla gola, dalla barbozza verso il ventre, ti si affida e si rassicura.

È tuttavia fatica entrare in sintonia con un nuovo cavallo. Il colore, l’odore e il modo di muoversi del vecchio cavallo ti sono ancora dentro. Cancellarli, sostituirli, neutralizzarli richiede parecchia fatica.

Non sempre abbiamo la voglia e la forza di ricominciare, con la scusa del cambio di cavallo. 

Ricordo quella volta che accompagnai Lilly – l’unica pony femmina che abbiamo avuto – alla stalla.

La stalla del pony si trovava sul retro della nostra casa, accanto al pollaio e all’orto curato da nonno Alessio.

Sarebbe stata l’ultima volta che avrei visto Lilly, con il suo pelo grigio chiaro e la criniera dalle sfumature cremisi.

Lilly era molto malata; e il veterinario sarebbe venuto per toglierle la vita nel modo più dolce e meno doloroso possibile.

In quel momento sapevo che avrei avuto altri pony, che un nuovo minuscolo cavallo era in arrivo dall’Emilia. Ma nessuno sarebbe stato come lei.

Nessuno avrebbe sostituito Lilly nel mio cuore.

Il cambio non sempre ci conquista

Ci sono momenti in cui, anche con il nuovo cavallo, ci dobbiamo fermare alla stazione di posta, quel luogo dove si riposa il viandante e si riposano i suoi cavalli.

La stazione di posta è quel luogo dove puoi cambiare cavallo un’altra volta, e poi un’altra ancora, e poi un’altra ancora. Ogni stazione ti concede un cambio.

Non è, tuttavia, cambiando cavallo che possiamo liberarci dalla delusione. Ce ne rendiamo presto conto.

I cavalli non sono ruote d’automobile. Non bastano i cambi, un nuovo dorso da sellare e nuovi odori ippici.

“Chiodo scaccia chiodo. Ma quattro chiodi fanno una croce”, scriveva Cesare Pavese sul suo diario, Il mestiere di vivere.

Quello che può davvero fare la differenza è – allora – un nuovo inizio. 

Ecco che dopo l’ennesimo cambio di cavallo, scendiamo dalla carrozza o dal dorso del nostro purosangue, e ci dirigiamo verso l’angolo della stazione di posta.

Il locale è zuppo di gente, di chiacchiere a voce alta e di fumo. Siamo in piedi, accanto all’ampio camino acceso, mentre qualcosa sfrigola tra i ciocchi e la cenere copiosa.

Ci togliamo il cappotto, intriso di freddo e lunghi tragitti in solitudine. Ci attacchiamo, assetati, al bicchiere che uno sconosciuto cameriere con gentilezza ci pone.

Ecco che, d’improvviso, lei ci appare davanti a noi. È voltata e possiamo coglierne i capelli sulle spalle, la figura muliebre, le lente movenze.

Poi… lei si gira e ci guarda dritti, come se ci fossimo messi d’accordo.

Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira,
che fa tremar di chiaritate l’âre
e mena seco Amor, sì che parlare
null’omo pote, ma ciascun sospira?

I versi di Guido Cavalcanti – per chi, come me, adora il Dolce Stil Novo – risuonano nella nostra mente. 

Lei ci sorride. Sembra fare un passo. O forse è soltanto un’illusione ottica.

Noi, comunque vada, di una cosa siamo certi. Lasciato l’ultimo cavallo, al 54° secondo, nel tempo delle illusioni cadute, abbiamo un nuovo incontro che ci attende.

Maurizio F. Corte
(Parte 11 – continua)

*** Gli articoli sul “ciclo delle Illusioni” li trovi nella sezione Pratico di Nessuno™ di questo blog

R. Vecchioni – Samarcanda

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