Illusioni cadute. Solo la rabbia ci salverà

Abbiamo un problema. E non è un problema da poco.

Basta un simulatore di volo per ingannare la nostra mente. Tuttavia, spesso neppure il simulatore riesce a far tacere la nostra coscienza.

Di fronte alla caduta delle illusioni, di fronte all’amara verità che abbiamo davanti, di fronte alla sconfitta… ci siamo rifugiati in un angolo sicuro: ci siamo chiusi nell’idea che la realtà sia diversa da quella che ci appare.

Abbiamo ristrutturato il pensiero, al 54° secondo, quando – passati i 53 secondi di illusione – siamo stati messi di fronte all’amara verità della vita.

Tuttavia, neppure il pensiero ristrutturato ha impedito alla nostra voce interiore di dirci il vero, l’amaro reale: ovvero che siamo su un simulatore di volo, l’aereo non è decollato e quella che abbiamo davanti è soltanto una realtà inventata.

Se il pensiero ristrutturato non ha funzionato. Se tutto è come prima. Se la vittoria è inventata, allora siamo in piena sconfitta. 

Cosa possiamo fare, adesso? 

L’esame di maturità del 1976

La commissione d’esame fu spietata, all’orale della mia maturità scientifica del 1976, al liceo Girolamo Fracastoro di Verona.

All’orale di Letteratura Italiana avevo fatto faville. Ne sapevo più dell’insegnante che mi interrogava.

Al secondo orale, quello di Filosofia, avevo giocato facile: l’insegnante era un coglione che faceva l’assistente di Storia. Interrogava seguendo le domande alla fine di uno di quei libri che sono fatti di riassunti e domande stronze.

Nello scritto di Italiano – il mio cavallo di battaglia – pare che sia finito fuori tema. Quello, comunque, lo seppi dopo.

Sul compito di Analisi Matematica lo ammetto: non sapevo una mazza. Non l’avevo proprio studiata Matematica, in quinta liceo. 

L’insegnante comunista – una della Lega dei Comunisti – me l’aveva fatta odiare. Del resto, neppure lei era un genio in matematica. E io ero un marxista dal pensiero libero. Impossibile intenderci.

Quando uscirono i risultati fu un trauma per tutti. Stefania, la secchiona della classe che non sapeva dove abitava Aristotele e pensava che Pascoli fosse un modello di mobile da salotto, prese 56/60. Una sconfitta.

Io uscii con 40/60. La stronza di Matematica, commissaria interna, aveva protetto i suoi servi della Sinistra extraparlamentare.

Io, che ero un marxista dissidente, finii in Purgatorio. Succede.

Mia madre, Maria, donna onesta, si incavolò come una leonessa ferita. Io incassai il colpo. Ero inkazzato lucido. Ovvero, mi ero portato alla temperatura peggiore.

Mai farsi governare dalla rabbia. In questo modo cediamo sovranità a qualcuno fuori di noi.

La folle corsa verso la Normale di Pisa

Passai l’estate del 1976 a studiare come un deficiente, dopo l’esame di maturità.

Come rivalsa sul voto deludente – brutta roba la voglia di rivicincita – decisi di puntare alla Scuola Normale di Pisa.

È da folli pensare di portare all’esame di ammissione, alla Normale di Pisa, tre anni di Letteratura Italiana, di Storia e di Filosofia, pensando di farcela.

Eppure io lo feci. Mi misi in testa che quello c’era da fare. E nient’altro.

Alla Normale di Pisa, la traccia del tema scritto era interessante. Scrissi di Leopardi e Hemingway, paragonandoli. Erano i miei scrittori preferiti. E li ho ancora nel cuore.

Prima di sapere se ero stato ammesso alla Normale, mamma mi regalò uno stereo per la musica che amavo. Era generosa, Mamma Maria, ma così mi inchiodava all’obbligo di vincere.

Ovviamente, non passai lo scritto. Ero un fuoriclasse in Filosofia e Letteratura Italiana, lo sapevo. Ma un fuoriclasse non prepara le Olimpiadi in 50 giorni.

Mi rifarò, molti anni dopo, con una tesi che è diventata un libro. E una docenza a contratto all’Università di Verona.

La rabbia contro le illusioni cadute

Cosa ottenni dalla mia folle corsa contro la caduta delle illusioni liceali? La rabbia.

Pessima compagnia, la rabbia. Ti fa vedere il mondo ad angolo acuto. Dimentichi il tuo valore. Ti concentri sui dettagli inutili.

La vita è invece apertura all’Infinito. È corsa tra l’erba tagliata di fresco.

La vita è fare l’amore con la donna che ami. Batterti per un ideale di giustizia. Cercare la comunicazione autentica.

La vita è mandare a puttane la gente stronza che non ha un briciolo di dignità, di libertà, di generosità. E mandarla a puttane con un sorriso sulle labbra.

La rabbia è invece l’altra faccia del dolore. È il Lato B del cane nero della tristezza infinita. È la rinuncia ai mattini che inondano la tua camera da letto di luce, profumi di campo e voglia di vivere.

Eppure, la rabbia ci attira, ci seduce, ci fa sentire eroi. Del resto, la rabbia è l’attrezzo più facile. Quasi banale. Come un martello, come un coltello, come una pistola carica.

Quando cadono le illusioni, la rabbia ti spinge a lanciarti – come un’auto da corsa impazzita – contro l’angolo di un muro. È il muro della tua prigione.

Arrivi a credere, da stupido, che quello sia il modo per battere la sconfitta. Per rinascere. Per risorgere e vendicare i torti subiti.

Katzo, che grande stronzata che è la rabbia.

La luce dell’alba che ci consola

Tuttavia, non possiamo vivere di sola rabbia. Se poi siamo buone persone, la rabbia non ci abita l’anima per molto tempo.

Non solo. Dentro ogni rabbia si nasconde una voce che si sussurra: “Sei sulla strada sbagliata. E lo sai”.

Il dolore, infatti, sale lento, dentro la rabbia. Piano piano la scalza, la distrugge, la neutralizza.

Le illusioni sono cadute, al 54° secondo. Neppure l’arrabbiarci ci ha protesto.

La disillusione ci resta accanto. Resta sempre nella nostra mente, anche se non la detestiamo più. E noi siamo al palo.

Una luce livida e lieve, tuttavia, avanza dall’Est della nostra mente. 

Se siamo sofferenti, siamo stati picchiati. Se siamo stati picchiati, stiamo davvero male. Se stiamo davvero male, siamo vittime di qualcosa o di qualcuno.

Ecco, allorsa, cos’altro ci aspetta, al 54° secondo.

Dopo i 53 secondi di illusione. Dopo l’apparizione della verità amara che decreta a nostra sconfitta. Dopo tutto questo, ci si apre una via di fuga inedita: quella del vittimismo

È vero. È certo. È sacrosanto. Noi siamo vittime di un destino distonico, sbilenco e baro.

Del resto, chi meglio di noi sa che cosa vuol dire restare vittima di un destino amaro? Noi sì, noi lo sappiamo. Perché noi abbiamo vissuto.

Maurizio F. Corte
(parte 4 – continua)

*** Gli articoli sul “ciclo delle Illusioni” li trovi nella sezione Pratico di Nessuno™ di questo blog


Marco Masini –
Bella stronza

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