Illusioni cadute. Perché squalifichiamo la vittoria inattesa

Il sole del pomeriggio di novembre batteva sulla vetrata della libreria. I raggi rossastri si infrangevano sul largo tavolo in legno al centro della stanza, zeppo di libri, e poi scoppiettavano sulle pareti a nord.

Sugli scaffali stavo cercando quello che sarebbe stato il primo romanzo di Ernest Hemingway che avrei letto in vita mia, Addio alle armi.

Lei mi apparve alle spalle.

Doveva osservarmi da qualche minuto, quando mi accorsi della sua presenza, girandomi.

Ci eravamo frequentati a scuola per cinque anni, ma solo in quel momento momento – incrociando il suo sguardo – compresi il suo nascosto dolore.

Mi innamorai del suo modo di sorridermi. Mi innamorai dei suoi capelli neri sulle spalle, che volteggiavano appena si muoveva. Mi innamorai della sua voce, raffinata come sono le voci delle figlie della migliore borghesia veneta.

Ero triste, in quel periodo. Un amore adolescenziale era naufragato da poco nella incomunicabilità. E io mi sentivo un poco sperduto.

Non che mi mancasse Lauretta, la ragazzina che avevo amato per una lunga primavera; e che mi aveva amato.

Mi mancava qualcuno a cui pensare, tra una battaglia politica e un testo di Filosofia, all’Università di Padova.

Di fronte alla delusione… che si fa?

Ripenso a quel pomeriggio di novembre – e a quella giovane donna che mi avrebbe conquistato grazie al suo modo di comportarsi – quando, al 54° secondo, la delusione mi schiaffa davanti alla domanda: “E, adesso, che si fa?”.

Le illusioni sono cadute. Ogni tentativo di cambiare voltaggio alla disillusione – la rabbia, il vittimismo, l’allegria di naufragi e le altre vie d’uscita – si è schiantato contro un muro di pietra.

Quando crollano le torri, e i muri si sbriciolano come sfogliatelle tra le mani, può accadere che un nuovo incontro ci porti là dove non pensavamo di poter andare.

Qualcuno o qualche cosa entra – imprevisto – nella stanza della nostra vita quotidiana.

Ecco cosa scrive Francesco Petrarca, in un sonetto scritto fra il 1339 e il 1347:

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;

e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?

Tutto pareva perduto. Il 54° secondo ci aveva messo di fronte al nostro deserto esistenziale. 

D’improvviso, invece, un colpo di scena si affaccia sul teatro della nostra vita. E tutto assume un altro profumo, un colore intenso, una potente voglia di vivere.

È incredibile come l’incontro con quella mia ex compagna di scuola – che sarebbe diventata l’amica di molti giorni – abbia fatto svoltare il mio vivere.

Non voglio dire che un nuovo, inatteso, incontro possa renderci felici. A dire il vero, non so se la felicità esista.

Possiamo, tuttavia, sentirci meglio. E quel pomeriggio in libreria, con Addio alle armi, mi avrebbe aiutato a vivere meglio.

Quanto dura un nuovo incontro?

Il punto dirimente è capire quanto durerà quel nuovo incontro, che ci fa superare lo sgomento della sconfitta, dopo i 53 secondi di illusioni.

È una nuova illusione, quell’incontro? Durerà lo spazio di un mattino, quell’incontro, oppure cambierà per sempre il nostro esistere?

Se guardo all’incontro di quel novembre padovano – tra il profumo della carta dei libri e i miei capelli lunghi da ventenne degli Anni Settanta – il nuovo incontro è durato all’infinito, nel mio sogno di una vita nuova.

Quel nuovo incontro – alla luce del resto della mia vita – è invece durato quanto una luce che si accende e si spegne, rapida, nel buio della notte.

In ogni caso, c’è una tentazione a cui il nuovo incontro ci sottopone, dopo tante delusioni e false ripartenze.

La tentazione, quando il nuovo incontro ci accende una grande illusione, è che i ripetuti inciampi del 54° secondo ci portino a squalificare la vittoria che abbiamo tra le mani.

Un incontro è sempre una vittoria. È una vittoria la stessa comunicazione autentica dopo anni di incomprensione.

Un incontro è sempre una vittoria, come la stipula della pace dopo migliaia di giorni tra battaglie, lutti e dolore assoluto.

Un incontro è sempre una vittoria, come l’aprirsi di un mattino che ci annuncia un giorno di tranquillità e di gioia di vivere.

Le vittorie, tuttavia, sono come le illusioni. Le possiamo assaporare per soli 53 secondi; o addirittura meno di 53 secondi. Perché le vittorie esistenziali hanno la stessa impalpabile consistenza di un’illusione.

Ecco, allora, che al 54° secondo, quando la delusione viene travolta dal nostro nuovo incontro, ci coglie la tentazione meno prevista: quella di squalificare la vittoria che ci è stata donata.

Una vittoria squalificata, del resto, ci fa meno male di una vittoria convinta che si rivela falsa come una banconota contraffatta.

Se la vittoria svanisce lenta, come la nebbia padana a mezzogiorno, allora ci fa meno male perderla, se prima l’abbiamo squalificata

“Le battaglie si vincono sempre, non si perdono”, è il motto di Ernesto Guevara de la Serna, detto Il Che.

Il problema è che le battaglie vittoriose riusciamo a sopportarle solo squalificandole, per non dover subire – ancora una volta – il dolore della disillusione. 

La domanda che, allora, conviene porci è piana, per quanto scivolosa: “Quale vantaggio posso mai avere dallo sminuire la vittoria imprevista, quella che mi ha donato il nuovo incontro?”.

Maurizio F. Corte
(Parte 12 – continua)

*** Gli articoli sul “ciclo delle Illusioni” li trovi nella sezione Pratico di Nessuno™ di questo blog

P. Conte – Dal loggione

MediaMentor™
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.