Se l’illusione dura 53 secondi esatti, come si gestisce il 54° secondo? Come superare la delusione che arriva dalla caduta delle illusioni?
Chi non ha mai giocato in porta – in una partita di calcio – non ha mai vissuto il concetto dello “spiazzamento”.
Da ragazzino – io che ero e sono nella vita e nel calcio un numero 11, un’ala sinistra – per un bizzarro scherzo del destino mi sono trovato a giocare in porta. Il tutto avveniva in tornei con squadre di sette giocatori.
Era il “calcio a 7”, senza il fuorigioco.
Questo vuol dire che se il centrocampista avversario, lanciando la palla in alto, superava la difesa e metteva in moto il centravanti, questi te lo trovavi di fronte: eravate solo tu, portiere, e lui.
Il gol era inevitabile. A meno di non gettarsi sul pallone, tra le gambe dell’attaccante, rischiando di farsi male.
Ne presi cinque, di gol, un sabato pomeriggio, nel campo di calcio dietro la Parrocchia di San Pio X, a Verona. Avevo 13 anni.
Lo spiazzamento: quando il pallone va dove non ti aspetti
Non sono cinque gol che ti fanno male. Se ti sei battuto, da portiere, come un leone, parando anche l’imparabile, il problema non sei tu.
Il problema, nel gioco a sette come in quello a 11, è il centrocampo, che non filtra. Il problema è la difesa, che non fa interdizione e si fa ubriacare dal centrattacco avversario.
Il gol da spiazzamento è, invece, altra cosa. È angoscia. È smarrimento. È il buio della mente. E temi di essere tu, solo tu, il problema.
Lo spiazzamento nel calcio è una tecnica che consiste nel mandare fuori posizione un avversario, ad esempio il portiere.
Lo si fa attraverso un movimento ingannevole o una finta, creando così uno spazio libero da sfruttare.
Immagina un prestigiatore che distrae il pubblico con una mano mentre con l’altra compie il trucco: così funziona lo spiazzamento per un portiere.
L’attaccante tira la palla in porta. Tu portiere aspetti di vederla in alto a destra. E invece lei si fionda in basso a sinistra.
Tu ti sei sbilanciato e buttato in una certa direzione. La palla è invece andata dalla parte opposta e tu ti trovi, come un allocco, fuori posizione.
Tant’è che arrivi a pensare, mentre lo smarrimento ti prende dentro: “Cos’è successo? Com’è potuto accadere? E adesso che faccio?”.
Quando a spiazzarti è un amore
Molti anni fa, ai primi anni di università, un sabato sera esco con Giulia, che aveva un paio di anni meno di me.
È una tiepida sera d’estate. La porto, con la mia Citroen Dyane 6, sulle Torricelle, le colline sopra il centro di Verona.
Ci fermiamo in uno spiazzo, parliamo fitto per diversi minuti e, d’improvviso, attiro Giulia a me. Sono convinto che, al pari di quanto ha sempre fatto in passato, lei si lasci andare. E che sia felice di avermi con sé.
È stata una serata piacevole. Io le avevo parlato di Filosofia, dato che studiavo all’Università di Padova. Lei mi aveva raccontato delle sue prove di canto, dato che le piaceva cantare e aveva una gran bella voce.
Come accadeva sempre tra noi, eravamo passati dalla cultura all’intimità.
Invece quella sera no. Giulia si ritrae. Mi guarda diritto negli occhi. E mi dice: “Tu vieni, si passa una sera, si sta bene. Mi attiri a te. Mi baci. Io mi sciolgo. Poi tu sparisci per settimane. Poi ti ripresenti. Poi sparisci ancora. Io ti penso, mi manchi e ci resto male”.
Quella sera mi sentii franare la terra sotto i piedi. Era come se la macchina fosse sparita. E mi trovassi a vagare nello spazio.
Allo stesso tempo, mi sentii l’uomo più squallido del pianeta. Infilai la chiave nel cruscotto, premetti il pulsante dell’accensione della Dyane, e riaccompagnai Giulia a casa.
La via di fuga dal secondo 54
Mi ero risvegliato dall’illusione che Giulia mi amasse e accettasse sempre. E comunque. Che andassi, venissimi e mi facessi i fatti miei. Come nella canzone Minuetto, di Mia Martini.
Un modo deficiente di essere maschio, penso oggi, dopo tanto tempo.
Le cose erano andate in modo diverso. E io ero rimasto spiazzato.
Risvegliarsi dalle illusioni, senza avere il risultato sperato è come vivere una situazione di spiazzamento.
Anche lì ti domandi: “E adesso che si fa?”.
La fuga è uno dei modi per gestire il risveglio dopo la caduta delle illusioni. Ci viene difficile accettare la realtà, che fa a pugni con quanto ci aveva illuso.
I 53 secondi delle illusioni ci avevano cullato, nella certezza che saremmo arrivati al punto della gioia. Avremmo vinto. Saremmo stati contenti. Tutto sarebbe andato come doveva andare.
Le sorprese le avevamo prese in considerazione. Tuttavia, non erano altro che ipotesi evanescenti. Poco più che ombre.
La fuga – come il silenzio, il ritrarsi nell’ombra, il mancare un appuntamento – ci offre allora la via d’uscita dal risveglio deludente, al secondo 54.
Non è, tuttavia, la scelta migliore. Soprattutto, la fuga non è una scelta che possiamo portare avanti per sempre.
Neppure Dante Alighieri, il ghibellin fuggiasco, è potuto scappare per sempre.
A un certo punto, il 54° secondo ci presenta il conto. È il conto della più amara delle soluzioni: la verità della nostra sconfitta, la certezza che le illusioni sono cadute, e poi la fine triste di una partita perduta.
E, adesso, che cosa possiamo fare?
Maurizio F. Corte
(parte 2 – continua)
- Maurizio F. Corte, giornalista professionista, scrittore per i media e media educator, è docente a contratto di Comunicazione Interculturale nei Media al Centro Studi Interculturali dell’Università di Verona e coordinatore didattico del Master in Intercultural Competence and Management
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