Corrado è innamorato pazzo di Isabella. Le manifesta il suo amore, nella Verona del primo Cinquecento, in un inverno gelido da ghiacciare le ossa.
Isabella non dà però segno di corrispondere all’amore di Corrado. Eppure è più innamorata di quanto Corrado e tutti noi possiamo immaginare.
Davanti a un pozzo, a pochi passi da Piazza delle Erbe, lui le urla in faccia quanto lei sia fredda come l’acqua che quel pozzo conserva.
Isabella lo sfida allora a gettarvisi, in quel pozzo.
Corrado accetta la sfida. E si butta. Fino a farsi ingoiare dal ghiaccio, dal buio e dalla pietra.
Isabella, che ha perso l’amato che più di tutto (anche di se stessa) amava, si getta pure lei.
E nasce, così, la leggenda del Pozzo dell’Amore, che oggi attira – nella piazzetta accanto a Porta Borsari – gli innamorati, spesso provvisti di un lucchetto. A segnare un legame indissolubile.
Sembra solo un grande dramma d’amore, quello del Pozzo dell’Amore. Di quei drammi che popolano le leggende di un tempo andato.
È invece una storia di vita, di energia e di rivelazione.
Soprattutto, è la storia di una vittoria, prima ancora che di un amore che possa muovere a compassione.
Dove sta la vittoria? È semplice da trovare. Basta leggere tra le righe della leggenda. E interpretare.
La dichiarazione sfacciata d’amore di Corrado è infatti volontà di comunicare in modo autentico. Da parte sua, la corazza gelida di Isabella è invece una prigione interiore, dove lei si è nascosta.
E il pozzo cos’è? Forse un luogo di morte?
Il Pozzo dell’Amore è il posto dell’autenticità. È il luogo del riscatto. Il luogo della verità. Ovvero, la smentita all’oblio della incomunicabilità.
Mi ci è voluto lo scorcio di una strana estate – quella del 2025, a cento anni dall’uscita del romanzo Il Grande Gatsby, di Francis Scott Fitzgerald – per arrivare a professare una mia verità, dietro la leggenda veronese sull’amore di Isabella e Corrado.
Mi ci è voluta “l’estate del mio sconcerto” – con le sue illusioni, le cadute, le risalite e le illusioni – per arrivare nel cuore di una storia che oggi, più che mai, ci aiuta a meglio comunicare.
Cominciamo dall’inizio. Da loro. Da Isabella, di cui pure io sono da sempre perdutamente innamorato. E cominciamo da Corrado, di cui non ho mai condiviso la scelta suicida, prima di comprenderla nella sua essenza.
Tutto questo è dedicato a chi ama la comunicazione autentica. E a chi ama andare oltre il velo dell’apparenza.
Verona. La leggenda del Pozzo dell’Amore
Ci sono storie che ti accompagnano come ombre silenziose, pronte a emergere quando la vita ti mette davanti alle domande che contano.
La leggenda del Pozzo dell’Amore, quella di Corrado e Isabella, è una di queste.
È una storia che attraversa i secoli, restando indenne.
Proprio perché leggenda, si presta a infinite interpretazioni: racconto di un amore tragico, parabola sul coraggio e sull’orgoglio. Ma soprattutto – per chi ha voglia di guardare in profondità – metafora potente della comunicazione autentica.
La racconto a modo mio, quella leggenda d’amore tra Isabella e Corrado.
Per anni l’ho portata come esempio, all’Università di Verona dove insegno dal 2003, di come a volte il linguaggio non verbale sia così ambiguo da trasmettere significati contrari, rispetto a quanto chi comunica vorrebbe trasmettere. O rispetto a quanto prova a livello interiore.
A inizi agosto 2025, riflettendo su una serie di relazioni, sono arrivato a una mia lettura della leggenda del Pozzo dell’Amore. E ho intrecciato i fili della tradizione con quelli della mia esperienza.
Perché la leggenda di Verona, come ogni narrazione che ci tocca, parla sempre anche di noi.
La storia di Corrado e Isabella
Agli inizi del Cinquecento, tenendo Massimiliano imperatore la città di Verona sotto il suo dominio, tra le guardie ad essa deputate al servizio imperiale era Corrado di San Bonifazio.
Corrado era un giovane di grande statura, ben proporzionato, di giocondo e veramente signorile aspetto. Egli aveva in più il coraggio del prode guerriero che non si ferma di fronte alle insidie della battaglia.
Accadde che un giorno, Corrado s’imbatté in una gentildonna assai avvenente, Isabella del casato dei Donati, la quale mirabilmente gli piacque.
Gli entrò così tanto nel cuore che a lui pareva non aver mai più veduta né così bella, né così leggiadra donna.
C’era in lei – pensava Corrado nel fantasticare su quell’amore – un cuore caldo, amorevole e di cura, che nessuno sembrava poter vedere. Eppure, a lui era così chiara l’anima di lei da rimanerne abbagliato.
Adorava il suo modo di camminare. Lo affascinava il suo sorriso e, soprattutto, lo sguardo di lei, quando si incrociavano.
Isabella, tuttavia, del Corrado poco o nulla si curava. E nulla a lei importava delle lettere o ambasciate o messi che il giovine a lei inviava.
Non era tempo di smartphone e di vocali via whatsapp, in quel secolo di guerre sanguinose. Tuttavia, grazie ai servitori, non era difficile scambiarsi messaggi scritti come fossero gli sms di oggi.
E in Corrado crescevano le illusioni sull’amore di lei.
La freddezza della donna avvenente
Isabelle si limitava, tuttavia, a dire che se n’andassero tutti per i fatti loro; e non la molestassero. Numerose altre vie Corrado tentò senza alcuna fortuna, anche se il freddo cuore di Isabella nutriva crescente amore per quel prode guerriero.
Corrado la ritrovò un giorno, a mezzo della città, vicino a Piazza delle Erbe, insieme ad altre belle donzelle, in uno stretto cortile a pochi passi dalla chiesetta detta di San Marco ad Carceres.
Corrado cominciò a parlare a Isabella, appoggiatosi a un grazioso e ben ornato pozzo che qui stava. Egli cercava in tutti i modi di portare Isabella a parlare d’amore con lui.
Di fronte al distacco di lei, Corrado si spinse a dichiarare come la donzella gli sembrasse fatta di ghiaccio, fredda di certo come l’acqua che nel pozzo stava.
“Bene”, gli disse per gioco crudele la giovane donna, “provate a saltar nel pozzo e forse vi troverete più freddo che ghiaccio”.
Era circa la metà del mese di febbraio. Il freddo aveva toccato la sua miglior forza, la tramontana soffiava e il freddo era grande.
Come Corrado udì la sua crudele Isabella dire che si gettasse nell’acqua, tratto da giovenil furore e da mal pensato pensiero, alzando la mano destra, le rispose: “Eccomi, eccomi pronto a ubbidirvi, se cosa grata vi faccio a saltar nel pozzo”.
E il fervente amante d’un balzo nel pozzo si gettò; e vi scomparve tra l’orrore di tutti.
Isabella, che così bene nascosto aveva il suo amore per Corrado, atterrita per quel che avea causato, prima che le altre fanciulle potessero fermarla, anch’essa nel pozzo si gettò.
La triste novella presto si diffuse per tutta la città. E grande orrore la percosse e negli animi più nobili a pianti e angosce provocò.
A quel pozzo non ci fu nessuno che non vi si avvicinasse e non pensasse al potentissimo amore, quell’amore che aveva condotto a troppo giovane morte i due infelicissimi amanti.
E da quel tempo fino ad ora, il Pozzo dell’Amore fu chiamato. Così finisce la leggenda. E così nasce il Pozzo dell’Amore.
Il pozzo come luogo di autenticità
Cos’è davvero quel pozzo? Mi sono chiesto più volte.
Perché Isabella ha agito in quel modo, anziché aprire il suo cuore a Corrado? E come mai il giovane non si è fermato a capire lei, anziché leggere in modo letterare ogni suo gesto e ogni sua parola?
Cosa rappresenta il pozzo in questa storia? Mi sono più volte ripetuto, nel passargli accanto.
Non è solo un luogo fisico – mi sono detto. Deve essere un simbolo potente: il pozzo è profondità, è mistero, è il luogo in cui scendere per trovare acqua – cioè vita.
Tuttavia il pozzo è anche il luogo dove alto è il rischio di perdersi.
In ogni pozzo, come in ogni relazione autentica, arriva il momento in cui devi decidere se restare in superficie, al sicuro, oppure scendere nel profondo.
Scendere nel pozzo significa, allora, abbandonare le maschere, affrontare le paure, rischiare di mettere in piazza la parte più fragile di sé.
È lì, tuttavia, che si trova la verità. È lì che nasce la comunicazione autentica: solo quando osiamo “gettarci nel pozzo” possiamo davvero incontrare l’altro.
Per me, ad esempio, il pozzo è la metafora dell’estate del mio sconcerto: non so cosa troverò là sotto, ma ho smesso di accontentarmi della superficie.
Corrado: dalla sfida alla scelta di verità
Molti leggono il gesto di Corrado come un atto estremo, persino folle: gettarsi nel pozzo, solo per dimostrare qualcosa a Isabella, non è proprio da sani di mente, pensa il popolo.
Io la vedo diversamente.
Corrado, nella mia lettura, non si uccide per una sfida, ma sceglie di andare a fondo, nella verità di ciò che sente. Smette di giocare secondo le regole dell’orgoglio e dell’ambiguità.
La sfida di Isabella diventa per lui l’occasione di abbandonare ogni difesa: “Ecco, questo sono io. Questo è ciò che provo. Non importa se mi capirai, non importa cosa penserai. Io scelgo la verità”.
È un gesto estremo, certo. Ma la vita, a volte, chiede atti estremi di sincerità: con gli altri, ma soprattutto con noi stessi.
Isabella: dalla chiusura alla comunicazione empatica
E Isabella? All’inizio è chiusa, arroccata nella sua posizione: forse per paura, forse per abitudine, forse perché nessuno le ha mai insegnato come si ama davvero.
Forse perché il prode guerriero ribalta tanto la sua visione del mondo, da rimanerne atterrita.
La sua sfida a Corrado è un modo per non esporsi, per restare al sicuro. Ma quando vede il coraggio di lui, quando si accorge che l’amore vero si riconosce solo nel momento in cui rischia tutto, Isabella salta il fosso.
Abbandona l’arroccamento su se stessa, smette di temere il giudizio o la vulnerabilità.
Sceglie la comunicazione empatica: si butta nel pozzo, non per morire, ma per incontrare finalmente l’amato, per non lasciarlo solo nel punto più difficile del cammino.
Quante volte nelle nostre relazioni restiamo fermi sulla riva, pronti solo a giudicare? Quante volte la paura di essere fraintesi, di essere feriti, ci tiene lontani dall’autenticità?
Cosa ci insegna questa leggenda
Viviamo in un’epoca in cui si comunica di continuo, ma di rado in modo autentico.
Messaggi, status sui social, emoji, storie che scorrono e svaniscono – eppure, quanto è raro fermarsi, guardare l’altro negli occhi (o anche solo ascoltare davvero le sue parole), e “scendere nel pozzo” insieme.
La leggenda di Corrado e Isabella ci ricorda che la vera comunicazione è sempre un rischio: il rischio di essere fraintesi, di non essere accolti, di soffrire.
Come direbbe il mio professore di Filosofia della Scienza (Università di Padova, 1976), la comunicazione autentica è “una licitazione al buio di una partita d’azzardo”.
Tuttavia, la vera comunicazione è anche l’unico modo di uscire dall’isolamento, di superare le barriere dell’abitudine e della paura.
Quando scegliamo di essere autentici, magari dopo anni di silenzi e incomprensioni, non sappiamo mai davvero cosa succederà.
Magari l’altro ci raggiungerà nel pozzo, magari resteremo soli. Ma almeno, per una volta, avremo scelto la verità.
Il mio sconcerto, la mia energia
L’estate del 2025 l’ho vissuta come l’estate del mio sconcerto. Non so dove sto andando, non ho tutte le risposte.
Tuttavia ho deciso di restare fedele a quello che sento, di smettere di scrivere per qualcun altro, di dire ciò che non è vero – prima di tutto per me stesso.
Fare il giornalista, del resto, vuol dire raccontare storie scomode. Vuol dire scoprire verità che non si vogliono rivelare. E vuol dire fare i conti con il proprio modo di comunicare.
Vivere lo sconcerto come energia, d’altro canto, significa questo:
– accettare il caos come occasione di crescita;
– lasciarsi attraversare dalle emozioni, senza più paura di perdere il controllo;
– restare presenti, anche quando tutto sembra difficile o confuso.
Il pozzo è qui, davanti a me. Non so cosa ci sia in fondo. Ma non voglio più accontentarmi di restare sulla riva.
Il coraggio di gettarsi nel pozzo
La leggenda del Pozzo dell’Amore, riletta oggi, è un invito.
È un invito ad abbandonare le maschere, a lasciarsi andare al rischio della verità, a scegliere la comunicazione autentica anche quando fa paura.
Corrado e Isabella ci dicono che non c’è amore, non c’è amicizia, non c’è crescita senza il coraggio di “buttarsi”, di lasciare andare l’orgoglio, di accogliere lo sconcerto come parte della vita.
Lo sconcerto e la comunicazione di valore
C’è un altro motivo per cui questa leggenda mi parla così da vicino.
La mia vita – come uomo e come giornalista – è stata spesso attraversata da una comunicazione fatta di attese, di messaggi lasciati a metà, di silenzi che pesano.
Le parole, quando arrivano, sembrano sempre sfiorare la verità senza mai toccarla davvero.
Pure io ho vissuto relazioni in cui l’ambivalenza ha spesso avuto la meglio sull’autenticità.
Ho attraversati relazioni in cui ogni tentativo di comunicazione si è infranto contro muri invisibili: la paura di esporsi, il desiderio di essere capiti senza esplicitare, la speranza che l’altro faccia il primo passo – o che almeno raccolga quello che non si ha il coraggio di dire.
Lo sconcerto nasce proprio qui, nell’impossibilità di una parola piena, nell’alternanza fra il desiderio di andare a fondo e la tentazione di restare in superficie.
Per troppo tempo ho scritto e parlato pensando a chi avrebbe letto, a chi avrebbe forse risposto, a chi avrebbe colto i miei segnali.
Oggi non è più così. Oggi riconosco che il mio sconcerto, invece di essere una debolezza, può diventare energia: è il motore che mi spinge finalmente a comunicare per me stesso, senza più aspettare conferme da altre persone.
Rileggo la leggenda di Corrado e Isabella, e mi rendo conto che spesso sono rimasto sulla superficie, nell’attesa che l’altro scendesse nel pozzo della verità insieme a me.
Forse il vero gesto d’amore, verso se stessi e verso l’altro, è di gettarsi nel pozzo anche da soli: perché solo così si spezza il ciclo dell’ambivalenza; e si apre la possibilità di un incontro autentico – anche se non sempre l’altro ci segue.
Non è facile dire queste cose. C’è il pudore, c’è la paura di sembrare deboli, c’è la tentazione di far finta di nulla e di raccontarsi che, in fondo, va bene così.
Eppure è proprio in questo sconcerto che possiamo ritrovare energia. Non l’energia dell’attesa e della rinuncia, ma quella della consapevolezza.
Rileggo la leggenda del Pozzo dell’Amore e mi accorgo che, per anni, sono rimasto sulla soglia: con il desiderio che l’altro capisse senza dover spiegare, che raccogliesse il mio bisogno senza che io dovessi metterlo a nudo.
Forse è proprio questa la comunicazione autentica: imparare a restare nel pozzo, imparare a parlare nel buio e nel gelo del freddo inverno del Cinquecento, imparare a lasciarsi sconcertare senza più paura.
Maurizio F. Corte
*** Gli articoli sul “Pozzo dell’Amore” li trovi nella sezione Pratico di Nessuno™ di questo blog
- Maurizio F. Corte, giornalista professionista, scrittore per i media e media educator, è docente a contratto di Comunicazione Interculturale nei Media al Centro Studi Interculturali dell’Università di Verona e coordinatore didattico del Master in Intercultural Competence and Management
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