Nella Verona del primo Cinquecento, Corrado e Isabella danno vita alla leggenda del Pozzo dell’Amore.
Quel pozzo lo possiamo trovare a pochi passi da Piazza delle Erbe, in quello che – nella Verona d’epoca latina – era il Foro romano.
In un gelido febbraio, Isabella sfida l’innamoratissimo Corrado a gettarsi nel pozzo, buio e freddo. E lui vi si getta.
Al che, Isabella – pure lei innamorata di Corrado – lo segue. E muore con lui.
Cosa accade prima del salto nel pozzo
C’è un punto della leggenda del Pozzo dell’Amore che continua a bussare alla mia mente.
Non mi riferisco al salto di lui nel buio, che arriva a trovare la morte. E di lei, innamorata di lui, che lo segue.
È ciò che accade prima – quando Isabella e Corrado, lei gelata dalla paura di esporsi e lui infiammato dall’urgenza di amare – stanno a pochi passi dal bordo.
Lì si gioca la partita dell’autenticità, mi viene da pensare. Lì si decide se restare pubblico di noi stessi; oppure diventare protagonisti di un incontro autentico.
Il pozzo come luogo di relazione
Nel primo articolo sulla leggenda del Pozzo dell’Amore ho parlato del pozzo come luogo di verità: buttarsi dentro il pozzo significa togliere le maschere, rischiare, mettersi in gioco in modo totale.
Finirci dentro, al pozzo, è manifestare chi davvero si è; e che cosa davvero si prova. Questo è stato il mio pensiero.
Il pozzo non è, però, soltanto profondità.
Il pozzo è anche un meccanismo, formato da pezzi che si relazionano tra loro con una certa armonia.
Il pozzo ha un muretto. Il pozzo ha una carrucola. Il pozzo ha un secchio e una corda. Non scendi né risali a mani nude, da un pozzo.
Tradotto nella vita reale: l’autenticità non è un volo cieco, è una tecnica di discesa. E poi di risalita.
Si impara. Si allena. E – come nell’alpinismo – si fa meglio in cordata.
Mi coglie un senso di smarrimento, se penso al buio del pozzo. Se, però, penso al pozzo come a una splendida possibilità – di salire o di scendere – allora tutto si acquieta.
Isabella: quando il gelo è una difesa intelligente
Ho spesso provato un certo fastidio, misto a compassione, misto ad ammirazione… e misto a sgomento. Questo ho provato, pensando alla freddezza di Isabella.
Eppure, Isabella non è “fredda”, nel suo rifiutarsi di mostrare amore per Corrado. Isabella si protegge. E questo porta la relazione su un piano differente.
La sfida che Isabella lancia a Corrado (“salta, e forse troverai più freddo del ghiaccio”) è l’arma difensiva di chi ha imparato… che esporsi brucia.
Possiamo capire, Isabelle? Sì, possiamo capirla se leggiamo quel gesto come una negoziazione mancata: lei alza un muro perché non ha ancora uno spazio sicuro in cui dire “mi piaci, ma ho paura”.
Quante volte, da adulti, facciamo lo stesso? Ironia, sfida, silenzio: sono tutte comunicazioni “coperte” per restare vivi.
Corrado: la verità senza rete
Corrado invece sceglie la verità, ma lo fa senza corda. Non contratta il ritmo, non chiede un patto alla donna che ama. Salta nel pozzo.
L’eroismo mi commuove, specie quando noto che non ha alcuna forma di tornaconto, ma è soltanto frutto di generosità.
Tuttavia, se guardo bene quanto accafe, dal punto di vista della relazione, l’atto eroico di Corrado ci insegna un’altra cosa: autentico non vuol dire impulsivo.
L’impulso rompe i gusci; la cura costruisce relazioni.
Se mettiamo insieme i due movimenti – la difesa intelligente di Isabella e la verità impaziente di Corrado – comprendiamo meglio che cosa la Leggenda del Pozzo dell’Amore ci racconta.
4 strumenti per l’autenticità
Proviamo a rivedere la scena che precede il gesto teatrale di Corrado, nella Verona del primo Cinquecento.
Lui si butta nel Pozzo dell’Amore come sfida a Isabella, che lui pensava fosse una donna gelida, distaccata e incapace di amarlo.
La corda: nominare il bisogno, non l’accusa
Invece di affermare, lapidario, contro di lei: “Sei fredda, sei freddo”, Corrado avrebbe potuto provare a dirle: “Mi sto sentendo lontano, e ho bisogno di capire da te se c’è spazio per noi”.
Quanto alla corda del pozzo, è una forma di linguaggio che non incrimina: ti tiene collegato mentre scendi. Non ti lascia andare nell’abisso del nulla e della morte.
La carrucola: ritmo e turni
Nel nostro comunicare – me ne accorgo a ogni piè sospinto – trascuriamo molti dettagli, presi come siamo ad ascoltare noi stessi. Oppure a osservare l’altra persona senza volerla capire.
Se l’altra persona è spaventata, il flusso della comunicazione va diviso in frammenti. Solo così possiamo creare ponti: “Ti va se ci diamo 10 minuti ciascuno per dire cosa sentiamo, senza rispondere?”
La carrucola del pozzo trasforma l’intensità in un movimento sostenibile, che possiamo gestire.
Corrado avrebbe potuto dire all’amata Isabella: “Ti va di ascoltare, per 10 minuti, da soli, in silenzio, che cosa proviamo nel profondo della nostra anima?”.
Il muretto: confini gentili
Scegliendo la comunicazione autentica, mi sono reso conto – un certo tempo dopo – che la mia concezione di autenticità era parziale.
L’essere autentici non vuol dire spogliarsi in piazza. Non vuol dire sbattere in faccia alle persone la nostra verità. Non vuol dire imporre agli altri ciò che sentiamo urgere dentro di noi.
Possiamo comunicare in modo diverso. E spiegare: “Su questo argomento ho bisogno di andarci piano; ti racconto cosa posso dire oggi”.
Corrado avrebbe potuto inginocchiarsi davanti a Isabella, magari accennando un un sorriso di comprensione e ammirazione. E dirle: “Provo un profondo sentimento per voi, mia amata. Questo è quanto mi sento di dirvi, in questo gelido febbraio che, tuttavia, non gela i miei sentimenti”.
Non oso pensare che cosa avrebbe provato, nel suo petto, la silenziosa Isabella.
Il muretto del pozzo – a questo punto – assume la funzione di contenere. Non è giocoforza qualcosa da saltare per affermare che siamo autentici.
Il muretto ci evita che la relazione cada dentro se stessa. E che l’autenticità si trasformi in sterile autocompiacimento.
Quell’autocompiacimento – mi rendo conto talvolta – che mette me in primo piano; mentre la persona che amo viene lasciata indietro.
Il secchio: una domanda vera
Il secchio del pozzo è fatto per portare acqua in superficie, non sassi. Questo lo sappiamo.
Ricordo un pozzo nella campagna padovana, quando a metà Anni Sessanta si andava a trovare sia Adelaide, sorella di mio nonno Alessio.
Mi affascinava vedere l’acqua arrivare alla superficie, da quello che pareva – a me bambino di periferia – un abisso scuro. E insondabile.
Ecco, allora cosa possiamo chiedere all’altra persona: “Che cosa hai capito di me fin qui?”. Oppure “Cosa ti spaventa di più di quello che ti sto chiedendo?”
Una domanda vera restituisce senso a una relazione: è il contrario del test o della sfida.
Il bel Corrado, cavaliere senza paura, nella gelida aria della Verona medievale, avrebbe potuto sussurrare alla donna amata: “Isabella, che cos’è che ti spaventa nel raccontare i tuoi sentimenti? C’è qualcosa che hai capito di me, e di cui magari non mi sono accorto?”.
Se posta con garbo, rispetto e attenzione all’altra persona, una domanda di questo tipo arricchisce la comunicazione, evitando di farsi interrogatorio.
Dall’ambivalenza all’incontro
Anziché sfidarsi e soccombere, la leggenza del Pozzo dell’Amore può portarci a un patto di tre righe.
Mi suonava un poco strano, dissezionare la storia d’amore che tanto mi ha toccato il cuore, come se fosse un gelido oggetto di studio scientifico.
Poi, ho pensato che io tifo per l’amore di Isabella e di Corrado. Per il loro incontro. Non tifo per il loro soccombere al buio, al freddo e alla morte del pozzo inerte.
Quello che mi è uscito, riflettendo e interrogando anche l’Intelligenza Artificiale, possiamo chiamarlo il “Patto del Pozzo”:
Ti dico, con rispetto e dolcezza, che cosa provo per te (anche quando è scomodo).
Ti chiedo come ti arriva ciò che ti dico, come lo cogli, che cosa ti provoca nella mente e nell’anima (e ti ascolto, senza difendermi, per almeno due minuti).
Concordiamo, assieme, il passo successivo (anche minuscolo: un messaggio chiaro, un caffè, un certo tempo).
Ti sembra poco? A dire il vero, una scelta del genere è moltissimo. È il passare dal saltare nel pozzo, per sfida, allo “scendiamo insieme con la corda”.
È il passaggio dall’eroismo alla competenza relazionale.
Detto così, sembra un freddo modo di parlare. Diciamo, allora, che il Patto del Pozzo dell’Amore è il passaggio dall’atto eroico, solitario, che ascolta se stesso… alla capacità di incontrare, ascoltare e cogliere l’altro.
Corrado, in questo modo, incontra Isabella. E, se i due innamorati si incontrano, non possono che “vivere felici e contenti” per un tempo infinito.
Certo, l’eroismo è alla base delle leggende. Tuttavia, noi non vogliamo diventare leggenda, ma vivere in modo vero.
Vogliamo amare, incontrare, essere seme che germoglia e diventa vita vissuta.
Silenzio: disconferma o pausa?
Il silenzio – nella comunicazione – mi tocca nel profondo del cuore.
Il silenzio, lo confesso, mi ha sempre ferito. Ho sempre creduto che nel comunicare ci dovesse essere sempre la parola.
Da un po’ di tempo – dopo aver sentito cantare un verso sul “silenzio che si prende cura di me”, in un pezzo di Ricardo Arjona – ho invece imparato ad apprezzarlo, il silenzio.
Cero, il silenzio può essere disconferma (ti ignoro e ti cancello). Può tuttavia, e molto più spesso, essere una pausa (mi fermo e regolo il mio comunicare per non farti male).
La differenza tra disconferma e pausa è essenziale:
Disconferma: sparisco, ti lascio nel vuoto, ti nego esistenza.
Pausa dichiarata: “Mi serve un giorno per comprendere. Martedì alle 18 ti scrivo”.
Il silenzio è lo stesso, ma il significato è opposto.
Il nuovo pozzo insegna, così, a scrivere il cartello da appendere al nostro viso: “Chiuso per manutenzione. Rìiapro a…”.
E se l’altro non scende nel pozzo?
Certo, anche nel gioco dell’amore, mi piace giocare per vincere. E per vincere assieme.
Cosa succede, allora, se la persona che amiamo non scende con noi nel pozzo della comunicazione autentica?
Chiedere cosa accade se l’altra persona non scende con noi nel pozzo dell’autenticità, è una domanda onesta. E maledettamente complessa.
La risposta può farci soffrire, come sempre accade quando le nostre illusioni si mostrano vane. E crollano.
L’autenticità resta una scelta personale.
Il rischio è reale: potresti restare al buio, senza la donna (o l’uomo) che ami dal profondo dell’anima.
Eppure la scelta di calarsi nel Pozzo dell’Amore resta profilica di risultati, se è fatta nel modo adeguato: con corda, carrucola, muretto e secchio.
In tre casi su quattro succede qualcosa che ci stupirà. Ecco le possibilità
L’altra persona, che amiamo, scende un gradino dietro di te
L’altra persona non scende, ma ti riconosce (e il legame si chiarisce)
L’altra persona se ne va, ti abbandona: è dolorosa, come situazione, ma la tua verità ti riporta alla luce.
Soltanto in un caso la corda si spezza. È quando torniamo alla sfida, al test, all’orgoglio.
Quando ci blocchiamo nella partita a scacchi, decisi a sfidare chi amiamo, ebbene allora siamo sull’orlo del pozzo freddo, buio e mortale: siamo pronti, com il Corrado della leggenda, a buttarcisi dentro.
La domanda, allora, è: siamo sicuri che la nostra scelta della vecchia autenticità – intesa come comunicazione che non tiene conto dell’altro – sarà capita dalla persona che amiamo?
E poi: siamo certi di essere nel giusto, con la provocazione che porta l’altro a seguirci?
Perché tutto questo è “pratico di nessuno”
Vivere non è facile. Vivere con profondità e qualità e rispetto è assai difficile.
Tutto questo è pratico di nessuno perché non appartiene a nessuna scuola in esclusiva: è artigianato umano. È fatica quotidiana del vivere. È perenne domanda sull’esistere e sul relazionarci con gli altri.
La scelta di un’autenticità condivisa – e non imposta dalla sfida – è il minimo sindacale per smettere di farci del male, con comunicazioni brillanti ma inconcludenti.
Funziona nelle coppie, con i figli adolescenti, tra colleghi: ovunque ci sia un pozzo e due persone che non vogliono più restare sulla riva.
Come Isabella e Corrado si potevano comportare
Immagino una versione alternativa della leggenda del Pozzo dell’Amore.
Corrado si avvicina al muretto del pozzo, in quel gelido febbraio di inizio ‘500, a Verona, a due passi da Piazza delle Erbe.
Corrado posa la mano sulla pietra del pozzo e dice a Isabella: “Mi sto scaldando da solo per non bruciarti. Posso dirti cosa provo?”.
Lei sospira, fissandolo, si avvicina al pozzo e prende la corda tra le mani: “Dimmi, Corrado. Poi tocca a me”.
Nessun salto spettacolare; eppure lì, in quel cortiletto, accade il miracolo ordinario della comunicazione autentica.
Quella dove l’altro è compreso, anziché essere sfidato.
Maurizio F. Corte
*** Gli articoli sul “Pozzo dell’Amore” li trovi nella sezione Pratico di Nessuno™ di questo blog
- Maurizio F. Corte, giornalista professionista, scrittore per i media e media educator, è docente a contratto di Comunicazione Interculturale nei Media al Centro Studi Interculturali dell’Università di Verona e coordinatore didattico del Master in Intercultural Competence and Management
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