Ricordo quel giorno d’autunno, a Padova, quando diedi il mio primo esame di Filosofia Morale.
Con il professor Pacchiani, titolare della cattedra, discussi la Politica di Aristotele. Avevo studiato il libro per conto mio, senza lezioni in aula e – cosa da non farsi mai – senza un saggio che mi orientasse.
Eppure il mio esame era stato perfetto. “Le faccio i complimenti, signor Corte”, mi disse il professore. “Peccato che con il mio assistente l’interrogazione non sia stata allo stesso livello”.
Sul libretto mi scrisse 27/30. Questo era il punteggio finale, a causa di quell’imbecille del suo assistente, che mi aveva interrogato su un suo saggio – una tesi di dottorato, immagino – incomprensibile.
I giovani assistenti sono la peggior specie di studiosi e insegnanti che vi sia, l’ho capito bene insegnando pure io all’Università, come docente a contratto di Giornalismo Interculturale.
Con quell’assistente, avevo rischiato di uscire con un 24/30, che per me – che ho sempre amato la Filosofia – sarebbe stata una sconfitta netta. La mia media, in Filosofia, è sempre stata sul filo dei 30/30, con alcune lodi.
Alla fine, la mia era stata comunque una vittoria, con quel 27/30 grazie ad Artistotele.
Era stata una vittoria a tavolino, dato che non avevo potuto ribattere e lottare e farmi sentire sulla parte dell’assistente. Era comunque una vittoria del tutto meritata.
I punti a tavolino che la vita ci voleva togliere
La vittoria a tavolino ci risarcisce di quanto la vita ci ha tolto.
C’è come una mano divina che ci viene in soccorso, a pareggiare i conti.
L’amore che abbiamo dato, non ha avuto niente in cambio dalla donna tanto amata.
L’attenzione, la cura, i pensieri che abbiamo riservato a quella donna sono finiti nel cestino della sua esistenza.
Non siamo stati trattati bene, diciamo la verità. Il silenzio, la lontananza emotiva, la supponenza di quella donna ci hanno cagionato male nel profondo.
Dopo tanta amarezza, tuttavia, capita che incontri un’altra donna – un’amica del cuore – che ti ripaga di tanta ingratitudine.
Ecco, allora, che ti vengono alla mente i versi di Guido Guinizelli, uno dei poeti del Dolce Stil Novo.
Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ’l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ’l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.
Guinizelli ci dice, in sostanza, “che al cuor gentile ritorna sempre Amore
come l’uccello al verde delle foglie nel bosco. E la natura non creò il cuore nobile prima dell’amore, né il cuore nobile prima dell’amore: come non appena fu creato il sole, immediatamente si diffuse la luce, che non c’era prima del sole; e l’amore prende posto nella nobiltà d’animo con la naturalezza
con cui il calore sta nella luce del fuoco”.
La vittoria a tavolino ci dà quello che le persone, le situazioni, i mondi in cui viviamo ci hanno tolto.
È una forma di risarcimento per le sconfitte immeritate. E per le notti passate a chiederci dove abbiamo sbagliato a comunicare con la donna (o con l’uomo) che tanto abbiamo amato.
Nel mio caso, l’errore fu quello di non aver voluto capire a fondo l’orrendo e inutile libro dell’assistente del professore di Filosofia Morale.
Ebbene, rivedere i propri errori, capirli e rimediarvi è un atto nobile.
Possiamo dire che, talvolta, la nostra autocritica prepara la strada per la comprensione. E ci conduce alla vittoria a tavolino, che ci risarcisce.
Con la vittoria a tavolino, le tensioni negative sfumano nel buio della notte. E viviamo una tensione alta, positiva, che un poco ci inebria.
La vittoria a tavolino non cancella tutte le tristezze e il pianto. Ma ci dona un’alba di quiete, di luce calda e anche un poco di tesa euforia.
L’arrivo dell’imbrunire che ci inquieta
Come nei film scritti bene, tuttavia, il climax che segna il punto più alto di tensione positiva può poi portare diritti all’abisso.
Come scrive Robert McKee, maestro di sceneggiatura, nel suo libro Story, “se il protagonista conquista il proprio oggetto di desiderio, rendendo positivo il climax della storia nell’ultimo atto, allora il climax del penultimo atto dev’essere negativo”.
Poi McKee aggiunge: “Non è possibile preparare un finale positivo partendo da un altro positivo”.
La vittoria che abbiamo ottenuto a tavolino – quella che ci ha inondato di gioia, speranza e punteggio – deve ora fare i conti con il suo contrario.
Ecco, allora, che all’imbrunire – dopo i 53 secondi delle illusioni – si profila sulla linea dell’orizzonte la peggiore delle soluzioni.
Ci tocca fare i conti con la disperazione.
Maurizio F. Corte
(Parte 16 – continua)
*** Gli articoli sul “ciclo delle Illusioni” li trovi nella sezione Pratico di Nessuno™ di questo blog
- Maurizio F. Corte, giornalista professionista, scrittore per i media e media educator, è docente a contratto di Comunicazione Interculturale nei Media al Centro Studi Interculturali dell’Università di Verona e coordinatore didattico del Master in Intercultural Competence and Management
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