Illusioni cadute. Il deserto dove ogni tanto ci tocca camminare

“Un giorno dopo l’altro,
il tuo deserto annuale
con le oasi a ferragosto
e per Natale”.

In Canzone della vita quotidiana, Francesco Guccini nel 1974 canta la noia del vivere, con una chiara ispirazione a Giacomo Leopardi.

“La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani”, scriveva d’altra parte Leopardi, nello Zibaldone di pensieri.

Proprio la noia gucciniana è quella che ci assale, quando il deserto ci avvolge al 54° secondo.

Durante i 53 secondi delle illusioni, noi stiamo vicendo. Siamo in qualche modo felici. 

Alla fine, la partita può andare male. Possiamo essere delusi, sconfitti, battuti. Però, nel mentre il gioco del vivere si svolge e attendiamo il verdetto, proprio in quel momento possiamo assaporare la vittoria.

Perché prima del verdetto, la vita ci arride.

La donna che amiamo, in questi 53 secondi d’illusione, ci sta pensando. Siamo nel suo cuore.

L’uomo che tanto tiene a noi, nei 53 secondi delle illusioni, ci custodisce nel profondo dell’anima.

La casa di produzione, a cui abbiamo presentato la nostra idea di serie televisiva, in questo spazio di tempo ci ha scelto.

Ci vediamo già lavorare alla sceneggiatura. E poi il ciak per le riprese. La presentazione al festival del multimediale… e via sognando.

Al termine delle illusioni, arriva il secondo numero 54. C’è il verdetto. E quasi mai è il verdetto sognato, perché il sogno batte (quasi) sempre la realtà dei fatti.

La donna che amiamo ci ha mandato sì parole d’amore, sussurri di promessa, sguardi che ci inebriano… ma abbiamo equivocato. Lei parlava di un altro. Non siamo noi i prescelti.

Così per l’uomo amato. Così per la casa di produzione, a cui il nostro soggetto è piaciuto. Tuttavia ci sono problemi legali. La storia è interessante, ma costa troppo. E altre balle per farci digerire l’amaro sorso della sconfitta.

Adesso siamo atterrati nel deserto della sconfitta. È il nostro “deserto annuale”, concentrato al 54° secondo.

È il deserto della solitudine di chi perde.

Quel giorno nella domenica di maggio

Provai il deserto della sconfitta molti anni fa.

Era una domenica di luglio. Ero atteso dal rettore di una basilica gotica, per un’intervista su un certo affresco.

A quel tempo – ero molto giovane – muovevo i primi passi nel giornalismo. Una rivista di arte e costume mi aveva affidato un incarico piuttosto impegnativo, a me che di arte non sapevo un tubo.

“Il bravo giornalista è colui che spiega agli altri quello che neppure lui ha capito”, mi ripetevo, nel mentre camminavo, all’ombra di Piazza delle Erbe, a Verona.

Non era l’arte, né l’intervista, né la precarietà di un lavoro senza sicurezze che tuttavia mi procurava quell’interno deserto.

All’intervista c’era pure lei, la giovane donna di cui ero perdutamente innamorato.

Mesi prima, lei mi aveva raccontato di essere stata sconvolta, la prima volta che ci eravamo conosciuti. “Non ci ho dormito la notte”, mi confidò un mattino di nebbie, foglie rinsecchite e autunno, mentre guidava nervosa la sua Fiat 127 a metano. 

L’avevo sconvolta. Eppure avevo perso. Lei aveva alla fine scelto un altro, il figlio di un giornalista televisivo, frequentatore dei salotti di chi ha potere, abile giocatore di poker.

Mentre strascinavo i piedi sulla piazza del Foro romano, a Verona, mi trovavo nel deserto.

Potevo sentire la sabbia finissima che mi avvolgeva. Era la stessa sabbia che aveva accompagnato la mia prima infanzia, quando ero nato a pochi metri dal fiume Adige, nell’osteria di Nonna Elda, in un gelido febbraio del 1957.

Il deserto come scelta

Se ripenso a quel giorno di sabbia, Verona e sconfitta, mi accorgo che il deserto del 54° secondo – dopo il tempo delle illusioni – è una nostra scelta.

Passata la rabbia, passata l’allegria di naufragi, la ristrutturazione dei pensieri… se ci tocca – dopo la vittoria a tavolino – il deserto, è per scelta nostra.

Di quella giovane donna – per cui ero assai sconvolto nell’anima – non ho più memoria. Dovessi incontrarla, proverei la stessa emozione che mi dà un marciapiede grigio di periferia.

Dopo quella donna, dopo quella sbandata, dopo quel deserto ho avuto – del resto – qualche grande amore.

“Le battaglia non si perdono. Si vincono sempre”, amava ripetere Ernesto Guevara de la Serna, detto il “Che”.

Sta a noi scegliere di mettere da parte il 54° secondo del deserto. Come io ho messo da parte sul simulacro d’amore.

Quando diventiamo consapevoli di quanto sia potente la nostra volontà, ecco che dopo il tempo delle illusioni, dopo la sconfitta, dopo il deserto… c’è il tempo dello sbigottimento.

Lo sbigottimento è come un’crepuscolo al confine della notte.

Un senso di assurda sorpresa ci coglie impreparati. È come incrociare una fontana, con alberi da frutto e acque fresce e chiare, nel mezzo di una città di sabbia.

Il vuoto e la solitudine del deserto svaniscono. E ci lasciano stupiti a guardarci attorno.

Siamo ancora vivi, fuori e di dentro. Siamo sopravvissuti al deserto.

E questo sbigottimento ha soltanto una cosa da dirci: possiamo ancora rimetterci in gioco. Possiamo ancora vincere. O, almeno, riavviare la partita. 

Maurizio F. Corte
(Parte 18 – continua)

*** Gli articoli sul “ciclo delle Illusioni” li trovi nella sezione Pratico di Nessuno™ di questo blog

F. Guccini – Canzone della vita quotidiana

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