Illusioni cadute. La quiete dello scontro rinviato per nebbia

Quando penso alla nebbia, penso ad Amarcord. Il film di Fellini l’ho visto tre volte al cinema. E due volte in tv.

Ogni tanto mi prende la voglia di rivederlo, per rivedere il nonno perso nella nebbia romagnola. 

E poi per ammirare la bella della città, Gradisca, raggiunta, stavolta nella neve, dalle palle dei monelli che mirano alle sue procaci forme.

La nebbia – almeno qui in Veneto – non c’è più come un tempo.

Ricordo gli Anni Settanta, in Valpolicella. Mamma guidava la sua Fiat 500. Mia sorella stava dietro e io ero a fianco di mamma. Stavamo tutti con gli occhi spalancati per intravedere la carreggiata.

La nebbia faceva tutto scomparire. Nella notte veronese la realtà pareva essere sparita, con le sue vittorie e le sue sconfitte, gli errori e i colpi messi a segno nei bar zuppi di fiati e odori.

Ogni tanto mi domando se – specie nei giorni di nebbia – la realtà fosse meno incerta di adesso.

Tra guerre, crisi economiche, terrorismo e media invadenti, oggi siamo ostaggio del non sapere dove andare.

Allora, nella nebbia, pareva di andare comunque da una qualche parte. E che tutto il nostro andare avesse un senso, anche se il muro nebbioso non ci faceva vedere oltre il metro.

La nebbia, poi, se non ti accompagnava nel guidare, ma era invece compagna di passeggiata, donava – come dona oggi – una certa quiete.

Lo scontro con la realtà sfuma in foschia

Al 54° secondo – dopo il tempo delle illusioni – la partita si è messa dal lato giusto. 

Lo scontro è stato rinviato per nebbia.

Abbiamo la vittoria insoddisfacente alle spalle. Con essa anche la noia delle partite a reti inviolate.

La partita sospesa a causa della nebbia fitta, che impedisce di giocare, dava un sapore strano alle domeniche quando andavo allo stadio di Verona.

Lo stesso strano sapore ci prende quando tutto è rinviato per nebbia.

La nebbia può essere un’indisposizione, che ci prende d’improvviso. Una qualche faccenda da assolvere, che fa rinviare tutto il resto. Una chiamata che sconvolge tutti quanti i piani.

Siamo come nel tempo sospeso, con la partita rinviata per nebbia. È un 54° secondo particolare.

Tuttavia il rinvio ci rassicura, come quando a scuola l’insegnante non interrogava: era assente, e al suo posto ci toccava una giovane e intrigante supplente, che di interrogare non aveva proprio voglia. Né aveva l’autorità per farlo.

Il Cesare Pavese che amo – e da cui ho tratto un certo mio modo di scrivere – così in Paesaggio VI (dalla raccolta Lavorare stanca) racconta la nebbia

Ogni via, ogni spigolo schietto di casa
nella nebbia, conserva un antico tremore:
chi lo sente non può abbandonarsi.

Non può abbandonare
la sua ebrezza tranquilla, composta di cose
dalla vita pregnante, scoperte a riscontro
d’una casa o d’un albero, d’un pensiero improvviso.
Anche i grossi cavalli, che saranno passati
tra la nebbia nell’alba, parleranno d’allora.

O magari un ragazzo scappato di casa
torna proprio quest’oggi, che sale la nebbia
sopra il fiume, e dimentica tutta la vita,
le miserie, la fame e le fedi tradite,
per fermarsi su un angolo, bevendo il mattino.
Val la pena tornare, magari diverso.

Nebbia e cavalli mi riportano a mio padre e ai nostri pony.

Nella nebbia, tuttavia, non si cambia cavallo. Non c’è un’altra uscita dove andare.

Non c’è una finestra sul nulla che ci faccia schivare la sconfitta, la tristezza, il disappunto; e che ci doni la gioia dell’illusione diventata reale.

La nebbia è come uno schermo lattiginoso che riannoda i fili del ricordo. E porta la tranquillità nell’anima.

Nella nebbia perdiamo un poco la lucidità dei 53 secondi d’illusione. C’è però di bello che lasciamo indietro anche l’angoscia di sapere la verità: testa o croce? gioia o tristezza? piacere o dolore?

Nella nebbia, le alternative esistenziali sembrano non esistere.

Siamo, al 54° secondo, dopo il tempo delle illusioni, sul punto sospeso.

C’è un sottile piacere, nel rinvio della partita per nebbia. La nostra squadra – metafora del nostro io nel campo di battaglia della vita – non ha vinto. Ma non ha neppure perso.

La nostra squadra e il nostro io non si asfissiano nel gorgo della noia.

C’è quasi un lampo di felicità. C’è quasi un brivido che ci attraversa. “Che sia questa la condizione migliore?”, ci domandiamo ingenui.

Non sapere. Non vedere il risultato. Tutto rinviato. Forse è davvero questo lo status che ci rende più sereni. 

Che bello! Tutto è rinviato (per nebbia).

Lo smarrimento del non avere punti di riferimento

Tuttavia, la nebbia e il rinvio e la sospensione hanno i loro angoli bui e dolorosi.

La nebbia tutto sospende. E, così, rinvia anche l’amore, l’amicizia, l’aprire il nostro cuore.

La nebbia rimanda la battaglia del lavoro in cui crediamo, rinvia la canzone che ci tocca il cuore e che vogliamo ascoltare, rinvia la persona cara da incontrare.

Tutto sfuma. La realtà sparisce, in sostanza.

La partita rinviata per la nebbia è una banale non-partita. Il terreno di gioco è solo un prato con erba stupida. Le porte da calcio, con le reti, sono sciocche sculture al nulla del post-moderno.

Non possiamo vedere gli spalti. La gente se n’è andata. Anche ci fosse qualcuno, non riuscirebbe a vederci.

Sentiamo voci in lontananza. Una sagoma pare venirci vicino, ma poi scarta e si dilegua.

C’è una voce di donna che sembra di chiami. È proprio lei? È la lei che aspettavo da tanto tempo? 

Oppure c’è una voce d’uomo che ci suona un poco familiare. È davvero lui? Ci sta forse volendo vicino?

D’improvviso la partita rinviata per nebbia dipinge la realtà in tutti i suoi aspetti più inquietanti: il vuoto, il non essere, la disconferma.

Ci coglie una sorta di vertigine. La nausea di Jean Paul Sartre sembra contagiare anche noi. Siamo smarriti.

Provoca ansia guardarsi intorno, prigionieri dell’essere smarriti. Provoca angoscia la perdita di ogni senso, ogni riferimento, ogni scopo.

Lo smarrimento, tuttavia, dura poco più del tempo (53 secondi) delle illusioni. Già intravediamo, oltre la coltre nebbiosa, i numeri di una vittoria a tavolino.

La sconfitta l’abbiamo evitata. La noia si è sciolta come ghiaccioli nell’estate. La quiete rassicurante della nebbia, che ci protegge e smarrisce, si va dissolvendo.

La vittoria a tavolino si presenta in tutto il suo fulgore.

È vero, vincere a tavolino non è poi una vittoria da incollare nell’album dei ricordi. Tuttavia è sempre (e comunque) una vittoria.

Maurizio F. Corte
(Parte 15 – continua)

*** Gli articoli sul “ciclo delle Illusioni” li trovi nella sezione Pratico di Nessuno™ di questo blog

R. Vecchioni – Luci a San Siro

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